- INTERVISTA
Intervista al Corriere della Sera
Intervista a Philip R. Lane, Membro del Comitato esecutivo della BCE, condotta da Federico Fubini
13 gennaio 2024
Il rialzo dei tassi di settembre doveva aumentare la fiducia che la Bce avrebbe raggiunto il suo obiettivo di inflazione, quindi in un certo senso è stato come stipulare un’assicurazione aggiuntiva. Alla luce dei recenti dati più incoraggianti, questa assicurazione supplementare è ancora giustificata o può essere ritirata?
Il primo punto da sottolineare è che sull’inflazione negli ultimi mesi si sono registrati dei progressi. È difficile essere precisi sul ruolo dei singoli rialzi dei tassi, ma di sicuro l’aumento di settembre ha contribuito. Con il sottolineare che la Bce manterrà una politica restrittiva, ha contribuito a raffreddare le aspettative di inflazione e moderare la fissazione dei prezzi in autunno. In secondo luogo, quando la Bce inizierà a ridurre i tassi di interesse, non si tratterà di una singola decisione, ma molto probabilmente di una sequenza. Il rialzo di settembre fa sì che il punto più alto sia superiore a come sarebbe stato altrimenti. Riconosco che c’era un elemento assicurativo in quel rialzo dei tassi. E ne terrò pienamente conto in termini di entità e tempistica dell’aggiustamento dei tassi verso una posizione di politica monetaria più neutrale, quando sarà il momento.
Il mercato sta sbagliando nell’aspettarsi tagli dei tassi della Bce entro marzo o aprile, che continuino in modo piuttosto aggressivo nel 2024? O sconta una recessione dell’area dell’euro, dovuta in parte a un bilancio tedesco più restrittivo, che non era ancora inclusa nelle più recenti proiezioni della Bce?
Il dato sull’inflazione di dicembre è stato sostanzialmente in linea con le nostre proiezioni: non vedo grandi sorprese al ribasso. È stato in linea con la nostra attesa che ci sarebbe stato un balzo. E i progressi continui nell’allentamento dell’inflazione di fondo sono benvenuti. Ma vediamo alcune tendenze contrarie nell’inflazione dei servizi quest’anno e, per il momento, i salari stanno ancora crescendo ben al di sopra di qualsiasi tipo di tasso di equilibrio di lungo periodo. Non ci aspettiamo che i prezzi dell’energia continuino a scendere allo stesso ritmo dell’anno scorso. Lo scenario di base delle nostre proiezioni indica una ripresa significativa dell’economia europea quest’anno, dovuta a una domanda più forte in Europa che, di per sé, è inflazionistica. Ma a dicembre abbiamo segnalato l’esistenza di rischi al ribasso per le nostre previsioni. E questo è uno dei grandi interrogativi che ci poniamo in queste settimane: i dati segnaleranno una ripresa o un proseguire del tipo di stagnazione che abbiamo avuto per gran parte del 2023? Restiamo molto dipendenti dai dati.
Il picco di restrizione monetaria coinciderà con l’inizio di una politica di bilancio più restrittiva, soprattutto in alcune delle maggiori economie dell’area dell’euro. Tenete conto di questi effetti nelle vostre aspettative?
Le nostre proiezioni di dicembre prevedono un’ipotesi di inasprimento fiscale nel 2024, in linea con quanto contenuto nei documenti programmatici di bilancio dei Paesi dell’area dell’euro. La stretta fiscale è dovuta essenzialmente alla fine delle misure di sostegno al costo della vita, delle misure sull’energia e altre. Poi, alla fine dello scorso anno, c’è stata anche la sentenza della Corte costituzionale tedesca, che ha portato a una revisione in Germania. Ma credo che per il 2024 l’entità della revisione non sia tale da comportare un cambiamento significativo delle prospettive di inflazione.
Prima di orientarsi sulla politica monetaria nel 2024, la Bce valuterà i nuovi accordi salariali. Molti si concluderanno questo mese e in primavera. Avrete un’idea abbastanza chiara per il Consiglio direttivo dell’11 aprile?
C’è una serie di dati che voglio vedere. Ogni settimana ne riceviamo sugli ultimi accordi salariali. Abbiamo un indice dei salari che utilizziamo come indicatore delle dinamiche salariali. Inoltre, analizziamo i dati di mercato in materia. Ma la serie di dati più completa è quella dei conti nazionali di Eurostat. I dati del primo trimestre non saranno disponibili prima della fine di aprile. Entro la riunione di giugno avremo questi importanti dati. Ma vorrei sottolineare che ne abbiamo altri che esamineremo ogni settimana, perché ogni mese c’è molto che succede e noi esaminiamo tutti i dati a nostra disposizione. Ci vorrà tempo per capire se gli accordi salariali stanno decelerando. Prevediamo che nel 2024 ci saranno ancora aumenti salariali elevati, ed è importante che le persone recuperino le perdite dovute all’alta inflazione. Ma sarà la dimensione di questo fenomeno a determinare i tempi e l’entità dell’adeguamento dei tassi quest’anno.
In gran parte dei Paesi dell’area euro c’è stato un grave calo dei salari reali, soprattutto in Germania e in Italia. Qual è per voi un accordo salariale equo e compatibile? Il 2% per compensare l’inflazione, più il 2% per tenere conto della crescita della produttività prevista? Forse dovrebbe esserci una piccola compensazione in più, viste le perdite di potere d’acquisto dal 2020?
Per l’intera area dell’euro, se l’inflazione dovrebbe essere tipicamente al 2% e la produttività del lavoro cresce dell’1%, allora un aumento dei salari coerente con un obiettivo di inflazione del 2% è di circa il 3%. Nel 2023 abbiamo avuto aumenti di circa il 5% e nelle nostre proiezioni prevediamo che gli aumenti salariali rallenteranno di circa un punto nel 2024, per poi essere sopra al 3% nel 2025 e attestarsi intorno al 3% nel 2026. Quindi per quest’anno e per il prossimo ci aspettiamo ancora livelli elevati, per compensare l’alta inflazione, soprattutto del 2022. È naturale. Ma l’adeguamento dei salari è un processo pluriennale. Se i Paesi cercano di farlo molto rapidamente con aumenti salariali molto consistenti, si rischia una spirale salari-prezzi. Sarà un processo graduale, nell’interesse di tutti.
I rappresentanti del governo italiano hanno più volte criticato la Bce per gli aumenti dei tassi. Che ne pensa?
Il quadro di questa inflazione è molto particolare, l’impennata è stata molto intensa. Ma naturalmente l’anno scorso abbiamo anche avuto una disinflazione significativa. I fattori alla base dell’inflazione erano molto atipici, mentre storicamente le strette di politica monetaria erano per lo più rivolte a raffreddare un’economia in surriscaldamento. Nell’area dell’euro non c’è stato surriscaldamento. L’inflazione è stata determinata principalmente da choc dal lato dell’offerta causati dalla pandemia e dall’aggressione della Russia all’Ucraina. Ma è molto importante capire il ruolo degli aumenti dei tassi, anche quando l’origine dell’inflazione è uno choc di offerta. C’è il rischio che l’inflazione si radichi. Se la gente si aspetta che l’inflazione rimanga ad un livello elevato, le imprese cercheranno di fissare prezzi alti e i lavoratori dovranno rispondere chiedendo salari più alti. Si può arrivare a una situazione in cui l’inflazione elevata si radica. Se non avessimo aumentato i tassi, l’iniziale choc temporaneo dal lato dell’offerta si sarebbe potuto trasformare di più in stagflazione.
Vari esponenti del governo italiano affermano che il bilancio pubblico dipenderà dalla politica monetaria. Ciò che deciderà la Bce avrà un impatto sul costo del debito, e sostanzialmente l’inflazione è scesa. Perché a questo punto la Bce non taglia i tassi?
Per i governi, il tasso d’interesse a lungo termine è il più importante, poiché emettono molte obbligazioni decennali e a lungo termine. Il mercato pensa che l’aumento dei tassi sia stato ciclico, temporaneo. E io condivido. Se si conferma che l’inflazione torna al 2%, sarà giusto normalizzare i tassi di interesse. E ciò contribuirà a ridurre i costi del debito pubblico. Ma per arrivarci è necessario tenere la posizione («hold steady») e assicurarsi che il problema dell’inflazione sia completamente sconfitto. La storia degli episodi di alta inflazione ci dice che se le banche centrali cercano di normalizzare troppo in fretta, prima che il problema sia davvero sconfitto, arriva un’altra ondata di inflazione e quindi un’altra ondata di rialzi dei tassi. Sarebbe uno scenario nettamente peggiore. È quindi importante prendersi il tempo necessario e assicurarsi che ci siano indicazioni sufficienti che l’inflazione stia tornando verso l’obiettivo. Una falsa speranza, una revisione troppo rapida, può essere autolesionista. Non vogliamo stringere troppo e mantenere i tassi troppo alti per troppo tempo. Ma, allo stesso modo, è importante non allontanarsi troppo presto dalla posizione di attesa in cui ci troviamo da settembre. Il passaggio da qui alla normalizzazione attiva dei tassi sarà una discussione importante. Ma è troppo presto, non abbiamo ancora evidenze sufficienti per passare alla fase successiva.
L’Italia non ha ratificato la riforma del Mes. Come si concilia questo con il completamento dell’Unione bancaria?
Riteniamo sia molto importante che il Trattato venga ratificato, proprio per il motivo che lei cita. L’Europa deve affrontare molte sfide. Si dovrà investire molto in Europa per finanziare la transizione verde, rafforzare la produttività e il dinamismo. Ora abbiamo Next Generation EU, che ci aiuterà nei prossimi due anni, soprattutto in Italia. Ma se guardiamo avanti, abbiamo bisogno che il sistema bancario finanzi molti investimenti. Ma perché ciò avvenga, dobbiamo fare progressi nell’Unione bancaria. E per far sì che il Mes sia un backstop del Fondo di risoluzione unico, occorre che sia ratificato il trattato.
Gli Stati Uniti spingono perché l’Europa sequestri le riserve ufficiali russe, in modo da pagare il sostegno e la ricostruzione dell’Ucraina. La ritiene una linea d’azione praticabile? Ci sono dei rischi?
Ovviamente la decisione spetta ai leader politici delle principali economie avanzate. Dal punto di vista della banca centrale, è importante che essa tenga pienamente conto delle implicazioni per il sistema monetario internazionale, per la stabilità finanziaria e per le basi giuridiche del sistema internazionale. Dal nostro punto di vista è importante che, nel processo decisionale, tutti questi fattori di rischio siano pienamente valutati».
Teme che se i governi sequestrano le riserve russe in euro, lo status dell’euro come valuta di riserva internazionale possa essere messo in discussione da altri, magari nel mondo emergente, che potrebbero temere che un giorno il sequestro anche delle loro riserve in euro?
Serve un’analisi completa. Sono certo che tutti i diversi gruppi che si occupano di questo tema esamineranno queste questioni da vicino, ma è importante prendere questi rischi seriamente in conto nel processo decisionale.
I governi dell’UE si sono messi d’accordo su nuove regole di bilancio, forse un po’ più complesso di quanto la Commissione sperasse. Cosa ne pensa?
Un quadro fiscale deve basarsi su un consenso tra i governi dell’Ue e il compromesso raggiunto riflette questo aspetto. La sostanza presenta ancora molti degli elementi proposti dalla Commissione. Il nuovo quadro prevede dei vincoli numerici, che però entrano in vigore solo in diversi scenari secondari. Nello scenario di base, la proposta della Commissione costituirà l’orientamento di fondo per la politica fiscale, che tiene conto, in modo molto importante, degli approcci pluriennali all’aggiustamento di bilancio e del ruolo delle riforme che possono svolgersi su orizzonti di più anni. Credo quindi che si tratti di un quadro fiscale che può essere operativo.
Le salvaguardie non renderanno le regole troppo restrittive?
Serve un quadro che aiuti i governi a ridurre il rapporto debito-Pil nel tempo. È importante riconoscere che questo è un obiettivo. Ma tutti, credo, hanno imparato che questo deve essere fatto con attenzione e in modo sostenibile.
Le tensioni nel Mar Rosso e possibili nuovi attacchi alle petroliere intorno allo Stretto di Hormuz, dopo i bombardamenti occudentali sulle posizoni degli Houthi, possono innescare ripercussioni economiche in Europa e a livello internazionale?
È molto importante che il mondo disponga di rotte di navigazione sicure e che siano prese misure per renderle nuovamente tali. Se questo si rivelasse un problema persistente e il commercio mondiale dovesse essere deviato, avremmo nuove, indesiderate strozzature. Ma anche in questo scenario ci sono possibilità diverse. Meccanicamente, l’aumento delle tariffe di trasporto aumenterebbe i costi dell’industria. Ma potremmo avere anche un effetto disinflazionistico, che sarebbe sgradito: molte aziende in tutto il mondo potrebbero semplicemente cancellare gli ordini e rimandare gli investimenti. Il risultato sarebbe un rallentamento più marcato dell’economia. Ma anche più in generale, i rischi geopolitici potrebbero indebolire la fiducia di imprese e famiglie nel futuro.
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