Opzioni di ricerca
Home Media Facciamo chiarezza Studi e pubblicazioni Statistiche Politica monetaria L’euro Pagamenti e mercati Lavorare in BCE
Suggerimenti
Ordina per
Christine Lagarde
The President of the European Central Bank
  • INTERVENTO

Battute d’arresto e passi avanti: mutamenti strutturali e politica monetaria negli anni venti

Intervento di Christine Lagarde, Presidente della BCE, alla Michel Camdessus Central Banking Lecture, organizzata dal Fondo monetario internazionale

Washington, DC, 20 settembre 2024

Le banche centrali sono istituzioni pubbliche che, con strumenti efficaci, influenzano l’economia secondo modalità in continua evoluzione. Tale incertezza deriva, in parte, dai tempi della trasmissione della politica monetaria, notoriamente “lunghi e variabili”[1]. In genere una modifica dei tassi di interesse impiega dai 18 ai 24 mesi per produrre il suo massimo effetto sull’economia e sull’inflazione[2].

Ma vi sono anche questioni più fondamentali che incidono sulla trasmissione della politica monetaria, individuate 20 anni fa dal Presidente della Federal Reserve Alan Greenspan, il quale scrisse che:

“Il mondo economico in cui operiamo è descritto al meglio da una struttura i cui parametri sono in continua evoluzione. Di conseguenza, i canali della politica monetaria mutano di pari passo[3].”

In altre parole, l’efficacia della politica monetaria è intrinsecamente legata all’evoluzione della struttura dell’economia. Negli ultimi anni l’incertezza che ha caratterizzato la trasmissione della politica monetaria è stata particolarmente acuta.

Abbiamo affrontato la più grave pandemia dagli anni ’20 del secolo scorso, il peggior conflitto in Europa dagli anni ’40 e la peggiore crisi energetica dagli anni ’70. Tali shock hanno modificato la struttura dell’economia e rappresentato una sfida per la valutazione dell’impatto della politica monetaria. Sfida esacerbata dal fatto che la pandemia ci ha colto all’indomani di un lungo periodo di crescita debole, inflazione inferiore all’obiettivo e bassi tassi di interesse.

Per gestire l’incertezza, abbiamo introdotto un assetto di politica monetaria imperniato su tre elementi, non solo sulle previsioni di inflazione ma anche sulle dinamiche dell’inflazione di fondo e sull’intensità della trasmissione. Tale assetto ha contribuito in maniera determinante a calibrare il percorso dei tassi nell’ultima fase del ciclo di rialzo durante la quale abbiamo mantenuto i tassi sul livello massimo e, più di recente, all’inizio della fase di allentamento della politica monetaria.

I nostri interventi risoluti di politica monetaria ci hanno permesso di mantenere ancorate le aspettative di inflazione, che dovrebbe tornare al 2% nella seconda metà del prossimo anno. Data l’entità dello shock inflazionistico, questo riassorbimento risulta notevole.

Ma è ancora forte l’incertezza che ci attende. L’economia sta attualmente attraversando una profonda trasformazione, il cui impatto va analizzato e compreso.

Sebbene alcune di queste trasformazioni, come il cambiamento climatico e l’invecchiamento della popolazione, siano fenomeni del nostro tempo, altre sono simili a quelle verificatesi un secolo fa. Sono due in particolare i parallelismi che emergono tra gli anni ’20 del Novecento e del nostro secolo. Oggi come allora, assistiamo sia alla battuta d’arresto dell’integrazione del commercio mondiale sia all’avanzare del progresso tecnologico.

Vi è però un’importante differenza nel modo in cui tali cambiamenti stanno influenzando la politica monetaria.

Nel periodo tra le due guerre la strategia di politica monetaria prevalente è stata interessata da mutamenti strutturali, dai quali le banche centrali hanno appreso innanzitutto che il paradigma dominante non era robusto per rispondere a tempi di profondi cambiamenti strutturali.

Da tale consapevolezza nacquero, alcuni decenni più tardi, le moderne strategie di politica monetaria, incentrate soprattutto sulla stabilità dei prezzi e caratterizzate da un approccio flessibile per conseguirla.

È grazie a questi sviluppi se oggi siamo in grado di affrontare questi cambiamenti strutturali in condizioni migliori rispetto ai nostri predecessori. La sfida da affrontare non riguarda i nostri obiettivi, che sono stati conseguiti, né i nostri strumenti, che sono sufficientemente flessibili.

Riguarda piuttosto il modo in cui la trasmissione monetaria sarà influenzata dai cambiamenti strutturali e il modo in cui dovremmo adeguare il nostro quadro analitico a tali mutamenti.

Nel mio intervento odierno partirò da un’analisi dei parallelismi tra i cambiamenti strutturali degli anni ’20 del secolo scorso e del nostro secolo, sottolineando le diverse implicazioni per la politica monetaria nei due periodi. Esporrò poi alcune considerazioni preliminari sull’evoluzione degli assetti di politica monetaria.

Il mio messaggio principale è che occorre essere pronti ad accogliere il cambiamento e a utilizzare la flessibilità prevista dai nostri assetti ove necessario. Per garantire stabilità in futuro, il nostro approccio deve continuare a incarnare il principio della “stabilità senza rigidità”, che consente di adeguarsi rapidamente alle trasformazioni dell’economia.

Mutamenti strutturali nel dopoguerra e politica monetaria negli anni ’20 del Novecento

Negli anni ’20 del secolo scorso l’economia mondiale stava attraversando una serie di trasformazioni. Esse muovevano in direzioni diverse, segnando sia battute d’arresto sia passi in avanti, modificando radicalmente la struttura dell’economia.

Due di queste trasformazioni ebbero profonde implicazioni per la politica monetaria.

La prima fu la frammentazione mondiale, con cui vennero meno l’ordine economico aperto e liberale della fine del XIX secolo e la sua ipotizzata permanenza.

I decenni che precedettero la Prima guerra mondiale videro la realizzazione di una rapida integrazione mondiale. Il commercio internazionale in percentuale del PIL passò dal 10% nel 1870 al 17% nel 1900 e al 21% nel 1913, creando nuove aspettative e nuovi stili di vita. Con le celebri parole di John Maynard Keynes:

“L’abitante di Londra poteva ordinare per telefono, sorseggiando a letto il tè della mattina, qualsiasi prodotto del globo intero, in qualsiasi quantità desiderasse, e confidare in una consegna ragionevolmente sollecita, sull’uscio della propria casa; [...] egli considerava questo stato di cose come del tutto normale, sicuro e permanente[4].”

Al tempo stesso, il paradigma dominante adottato dalle principali banche centrali era costituito dal gold standard, che privilegiava il mantenimento di un equilibrio esterno e il ricorso a meccanismi intrinseci affinché il credito interno si adeguasse agli squilibri esterni.

Ma la guerra portò alla fine della pax britannica, e gli Stati Uniti esitarono ad assumere un ruolo egemone a livello mondiale a sostegno del libero commercio. Aumentò il nazionalismo economico e la globalizzazione registrò di conseguenza una rapida regressione. Il commercio internazionale in percentuale del PIL scese al 14% nel 1929 e al 9% nel 1938[5][6]. Nella maggior parte dei paesi europei si registrò un incremento più che triplo dei dazi[7], che aumentarono anche negli Stati Uniti[8].

Le principali banche centrali tentarono inizialmente di rilanciare il gold standard a metà degli anni ’20 al fine di ripristinare le condizioni di libero scambio, ma si trovarono di fronte a un dilemma che peggiorava la situazione.

Come dimostrato da Ragnar Nurske nel suo influente studio, in un mondo più instabile le banche centrali hanno dovuto ricorrere sempre più spesso alle riserve auree per assorbire gli shock esterni ed evitare che si trasmettessero alla crescita del credito interno[9]. Pur essendo intesa come politica di “secondo ordine” finalizzata a mantenere un certo grado di stabilità interna, tale approccio finì per esacerbare in ultima analisi le pressioni deflazionistiche. A sua volta, la deflazione alimentò il malessere economico e contribuì al ciclo di nazionalismo economico.

Il secondo grande mutamento di questo periodo fu il rapido progresso tecnologico. Sebbene la frammentazione abbia costituito un passo indietro, la tecnologia compiva senza dubbio un passo avanti, che però determinò una serie di cambiamenti nell’economia e nei mercati finanziari da cui derivarono nuove sfide per le banche centrali.

L’innovazione subì in questo periodo una rapida accelerazione, alimentata in larga misura dagli effetti di propagazione dei progressi ottenuti in tempo di guerra. Tale crescita vide l’introduzione di nuovi macchinari su una scala molto più ampia rispetto al passato. I progressi più evidenti furono legati al motore a combustione interna – la catena di montaggio introdotta da Henry Ford – nonché alla rete e al motore elettrici[10].

Il boom tecnologico portò a rapidi incrementi di produttività. In Gran Bretagna, ad esempio, per produrre un’autovettura presso la Austin Motor Company erano necessarie nel 1922 cinquantacinque settimane di lavoro, ma solo dieci nel 1927[11]. Per l’Europa nel suo complesso, il tasso medio di crescita della produttività[12] salì a oltre il 2% all’anno tra il 1913 e il 1929, rispetto a circa l’1,5% all’anno tra il 1890 e il 1913[13].

Anche l’irrazionale esuberanza per la tecnologia alimentò tuttavia un significativo rialzo delle quotazioni nei mercati azionari. Dagli studi emerge che, negli anni ’20 del secolo scorso, a un aumento dell’1% del contingente di brevetti citati di un’impresa corrispondeva un aumento dello 0,26% del valore di mercato[14]. Ma le banche centrali non disponevano di un quadro di riferimento per gestire le fasi di espansione e di contrazione.

Diverse banche centrali cercarono senza successo di far scoppiare le bolle del mercato azionario[15] e poi imboccarono una serie di strade sbagliate al momento del crollo. È attualmente opinione diffusa che la conseguente crisi bancaria e il ritorno a un orientamento deflazionistico (che negli Stati Uniti, ad esempio, pareva giustificato dalla dottrina prevalente degli effetti cambiari reali) abbiano svolto un ruolo significativo nell’esacerbare la Grande Depressione[16].

Emerse infine una lezione fondamentale per i governi: alle banche centrali occorreva un nuovo concetto di stabilità, che doveva riflettersi nelle loro strategie di politica monetaria.

Come ha osservato lo storico dell’economia Micheal M. Bordo, negli anni ’20 del Novecento le banche centrali cercarono di focalizzarsi sulla stabilità sia esterna che interna, ma finché prevalse il gold standard, gli obiettivi esterni furono predominanti[17].

La principale lezione del periodo tra le due guerre fu che le banche centrali nelle economie avanzate necessitavano innanzitutto di obiettivi di stabilità interni. Ma ci vollero però altri 30-40 anni per rendersi conto che sarebbe stato meglio stabilizzare l’inflazione piuttosto che regolare puntualmente il prodotto e l’occupazione.

Mutamenti strutturali e politica monetaria negli anni ’20 del nostro secolo

Anche oggi subiamo battute d’arresto con il frammentarsi dell’economia mondiale, ma al tempo stesso compiamo passi avanti con l’espansione delle tecnologie digitali trasformative.

Le conseguenze per la politica monetaria sono tuttavia diverse.

Gli ultimi anni sono stati un banco di prova estremo per le strategie basate su un obiettivo di inflazione in ogni parte del mondo. Non soltanto abbiamo affrontato shock a catena, ma anche shock di diversa tipologia e intensità in luoghi diversi. L’Europa, ad esempio, ha risentito molto di più degli Stati Uniti dei prezzi elevati dell’energia, mentre gli Stati Uniti hanno dovuto fare i conti con gli strascichi di un maggiore stimolo della domanda.

Tuttavia l’inflazione sta convergendo verso l’obiettivo pressoché ovunque. E va rilevato che, almeno finora, la disinflazione ha avuto modeste ricadute in termini di occupazione. Come ho osservato di recente, è raro evitare un grave deterioramento dell’occupazione quando le banche centrali innalzano i tassi in risposta alle quotazioni elevate dell’energia[18]. Eppure l’occupazione nell’area dell’euro è aumentata di 2,8 milioni dalla fine del 2022.

Questa maggiore stabilità è riconducibile a due ragioni.

In primo luogo, decenni di strategie basate su un obiettivo di inflazione hanno avuto un impatto profondo sul modo in cui le persone formano le proprie aspettative sull’inflazione futura. Quando infatti l’obiettivo di inflazione viene ribadito con sufficiente chiarezza e la politica monetaria è credibile, le aspettative di inflazione restano ancorate, rendendo il processo di aggiustamento allo shock inflazionistico meno traumatico.

In secondo luogo, nel tempo le banche centrali hanno riconosciuto che stabilità non deve essere sinonimo di rigidità.

Siamo ora in grado di contrastare meglio i cambiamenti strutturali perché le nostre strategie combinano tre elementi: obiettivi di inflazione chiaramente definiti, strumentari di politica monetaria flessibili per conseguire tali obiettivi, quadro analitico in grado di valutare e rispondere ai mutamenti dell’economia, alimentando così le nostre funzioni di reazione. Negli ultimi anni abbiamo fatto ricorso a tutti questi elementi per assicurare che la politica monetaria mantenesse la stabilità dei prezzi senza costi eccessivi per l’economia.

Per questi motivi le trasformazioni in atto non rivoluzioneranno gli obiettivi della politica monetaria come accadde nel secolo scorso. Ma è probabile che producano un impatto più profondo sulla trasmissione monetaria.

Battute d’arresto: frammentazione

Così come un’epoca di globalizzazione ha raggiunto un punto di svolta all’indomani della Prima guerra mondiale, oggi un’altra ondata di globalizzazione è giunta a uno stallo. L’elemento distintivo di questa epoca è stata la disaggregazione geografica della produzione attraverso le catene globali del valore. Ciò ha determinato il raddoppio del valore dei beni intermedi scambiati, oggi pari a oltre la metà del commercio mondiale[19].

Ma il panorama sta cambiando. Non assistiamo a una vera e propria “deglobalizzazione” nel senso di un’inversione di tendenza del commercio mondiale. Vediamo cambiare la struttura delle catene globali del valore in risposta a un contesto più variabile, segnato da shock dell’offerta più frequenti[20] e da una frammentazione del panorama geopolitico[21].

Dall’analisi della BCE emerge che sia gli Stati Uniti sia l’area dell’euro hanno recentemente diversificato l’offerta di beni importati, determinando un aumento del numero dei paesi di approvvigionamento e dei costi[22]. Negli Stati Uniti le imprese sembrano valutare opzioni sia di trasferimento delle attività produttive verso aree geografiche vicine (Canada e Messico), sia di rilocalizzazione interna[23]. In Europa l’attenzione è rivolta al trasferimento delle attività produttive verso aree geografiche più prossime all’interno della regione, pur continuando a esportare a livello mondiale[24].

Tali mutamenti hanno implicazioni per la trasmissione monetaria, in quanto potrebbero invertire in parte alcune delle trasformazioni di lungo periodo in atto nell’economia suscettibili di indebolire la trasmissione.

In primo luogo, potrebbero rafforzare il nesso tra capacità produttiva inutilizzata interna e inflazione.

Un rompicapo cruciale affrontato dalle banche centrali nel secondo decennio di questo secolo è stato che l’allentamento della politica monetaria si trasmetteva con forza all’attività economica ma in misura più debole all’inflazione. Una spiegazione di tale scollamento risiede nel fatto che l’espansione delle catene globali del valore ha ridotto l’impatto della capacità produttiva inutilizzata interna sull’inflazione determinando uno spostamento verso fattori globali[25]. Tuttavia, se le catene globali del valore si accorciano o diventano meno efficienti, la capacità produttiva inutilizzata interna e l’inflazione si potrebbero riconnettere. Questo mutamento potrebbe potenziare gli impulsi di politica monetaria.

In secondo luogo, è possibile che la trasmissione della politica monetaria si rafforzi in quanto la ristrutturazione delle catene globali del valore potrebbe potenzialmente stimolare l’aumento dell’intensità di capitale. Gli incentivi all’avvicinamento geografico di “settori strategici” possono determinare una ripresa delle industrie ad alta intensità di capitale nelle economie avanzate. Negli Stati Uniti, ad esempio, la spesa per la costruzione di unità produttive è raddoppiata dalla fine del 2021 in risposta a politiche quali l’Inflation Reduction Act, la Bipartisan Infrastructure Law e il CHIPS and Science Act[26].

Tale mutamento potrebbe in certa misura attenuare il riorientamento di lungo periodo dell’attività economica verso i servizi e il rallentamento dell’intensità di capitale osservato negli ultimi decenni. A sua volta, l’aumento dell’intensità di capitale potrebbe acuire la sensibilità dell’economia alle variazioni dei tassi di interesse, accrescendo potenzialmente l’efficacia della trasmissione monetaria attraverso il canale dei tassi.

Rafforzando il meccanismo di trasmissione, tali mutamenti potrebbero consentire alle banche centrali di esercitare un maggiore controllo sui risultati macroeconomici interni. Tuttavia, questi benefici sarebbero annullati se la ristrutturazione delle catene globali del valore comportasse un’inflazione più volatile.

In un contesto mondiale stabile, l’espansione delle catene globali del valore ha agevolato un circolo virtuoso di integrazione commerciale e inflazione stabile, in quanto esse hanno attenuato gli effetti degli shock da aumento dei costi. Dagli studi emerge che un aumento dell’1% dei prezzi degli input ha determinato un aumento dei prezzi alla produzione pari appena allo 0,44% per effetto di tale attenuazione[27]. Tuttavia, se le catene di approvvigionamento si dovessero accorciare, la trasmissione degli shock dal lato dei costi si potrebbe rafforzare.

Passi avanti: progresso tecnologico

Come negli anni ’20 del secolo scorso, le battute d’arresto su alcuni fronti sono accompagnate da passi avanti in altri. Ci troviamo nel pieno di una rivoluzione digitale che riecheggia il boom tecnologico degli anni ’20 del secolo scorso.

Se quell’epoca è stata caratterizzata da rapidi progressi nei settori dell’energia elettrica, delle autovetture e della produzione di massa, la nostra sta registrando un’espansione senza precedenti delle tecnologie digitali. In particolare, il rapido sviluppo dell’intelligenza artificiale (IA) sembra destinato a trasformare una vasta gamma di settori, incluso quello finanziario. La tecnologia finanziaria (fintech) esercita già un profondo impatto sulla finanza.

Nel 2022 la tecnologia finanziaria ha generato il 5% dei proventi da attività bancarie a livello mondiale, per un importo di 150-205 miliardi di dollari statunitensi. Tale quota dovrebbe superare i 400 miliardi di dollari statunitensi entro il 2028, con un tasso di crescita annuo del 15%. Le banche inoltre stanno acquisendo imprese fintech e adottando le loro tecnologie per migliorare le operazioni di prestito[28].

Modificando la natura dell’intermediazione finanziaria e promovendo la concorrenza, la tecnologia finanziaria può rafforzare in misura significativa la trasmissione delle decisioni di politica monetaria al complesso dell’economia, influenzando i tassi di interesse, i prezzi delle attività finanziarie, le condizioni di accesso al credito e, infine, la crescita e l’inflazione.

Ad esempio, il credit scoring avanzato[29] e le nuove fonti di credito offerte dalle piattaforme fintech possono ridurre i vincoli di accesso ai prestiti. Sfruttando fonti di dati alternative, che possono fornire oltre 1.000 informazioni per richiedente di un prestito, la tecnologia finanziaria che utilizza l’IA e l’apprendimento automatico ha ottenuto risultati migliori rispetto ai tradizionali modelli di credit scoring nel prevedere i tassi di perdita, in particolare per le imprese più rischiose.

Questi sviluppi stanno già ampliando l’accesso al finanziamento. È stato riscontrato che le fintech trattano le richieste di mutui a un ritmo più rapido di circa il 20% rispetto ad altri intermediari creditizi[30]. L’uso dei dati potrebbe anche ridurre il fabbisogno di garanzie, ampliando così il credito alle imprese scarsamente servite a un costo inferiore.

Il consumatore moderno in grado di verificare velocemente il proprio merito di credito e di ottenere le migliori condizioni di finanziamento tramite smartphone non appartiene a un remoto immaginario futuro. In qualche modo, rispecchia come i londinesi del passato potevano ordinare comodamente dal proprio letto prodotti internazionali.

Di conseguenza, l’offerta di credito delle fintech tende a essere più reattiva alle variazioni delle condizioni economiche dei prenditori o alle condizioni economiche generali[31], al contrario delle banche tradizionali, attente alle relazioni di lungo termine con i prenditori. Questa reattività implica oltretutto che i prestiti delle fintech possano risultare più prociclici in periodi di tensione, amplificando i cicli del credito e la volatilità[32].

Ma i benefici netti per la trasmissione monetaria dipendono in modo cruciale dall’effetto della digitalizzazione sulle strutture di mercato.

Nei mercati digitali tende a prevalere il fenomeno del “winner takes most”, come risulta evidente dai pochi “hyperscaler” (gestori di centri di elaborazione dati che offrono servizi scalabili di cloud computing) che dominano le piattaforme digitali e i servizi cloud. Ad esempio, solo tre hyperscaler statunitensi rappresentano oltre il 65% del mercato mondiale del cloud. A Google fa capo una quota di mercato di oltre il 90% tra i motori di ricerca, una percentuale stupefacente. Il commercio elettronico è concentrato nelle mani di pochi protagonisti.

Il potere di mercato ha effetti importanti sulla trasmissione della politica monetaria. Secondo le ricerche dell’FMI, le imprese con un maggiore potere di mercato sono meno sensibili alle variazioni dei tassi di interesse. Negli Stati Uniti un rialzo di 100 punti base del tasso di riferimento determina una diminuzione delle vendite di un’impresa con bassi margini di profitto di circa il 2% dopo quattro trimestri. Per contro, a fronte dello stesso cambiamento di politica monetaria, si riscontra una riduzione esigua delle vendite di un’impresa con margini di profitto elevati[33].

Questa minore sensibilità è probabilmente dovuta ai più cospicui utili e alle maggiori riserve di liquidità delle imprese superstar, che sono pertanto meno dipendenti dalle condizioni del finanziamento esterno influenzate dalla politica monetaria. Più in generale, gli studi rilevano che l’efficienza e le dimensioni superiori delle imprese superstar riducono significativamente la quota di reddito da lavoro[34], il che potrebbe anche indebolire la trasmissione della politica monetaria[35].

In sintesi, la digitalizzazione potrebbe rendere il settore finanziario più capace di adeguare le condizioni di finanziamento alle condizioni economiche, ma potrebbe anche ridurre la sensibilità alla politica monetaria di alcuni settori societari.

Implicazioni preliminari per la politica monetaria

Siamo in una fase troppo prematura di queste trasformazioni per poter giungere a conclusioni chiare per la trasmissione della politica monetaria. Ma possiamo individuare alcune delle questioni cruciali che le banche centrali dovranno affrontare.

In tale contesto, è importante sottolineare che gli obiettivi fondamentali della politica monetaria dovranno rimanere invariati. Anziché costringerci a ricercare equilibri sofferti, come avvenuto un secolo fa, le nostre strategie di politica monetaria si sono dimostrate efficaci, mitigando i compromessi tra inflazione e occupazione.

Se entreremo in un’epoca in cui l’inflazione è più volatile e la trasmissione della politica monetaria più incerta, sarà essenziale mantenere questa solida àncora per il processo di formazione dei prezzi.

Mentre iniziamo a comprendere gli effetti della frammentazione mondiale e della digitalizzazione sulla trasmissione monetaria, dovremo riesaminare costantemente il nostro quadro analitico. Come nelle epoche precedenti, stabilità non significa rigidità.

Esercizi regolari di riesame danno un’opportunità di riflessione. Nel 2021 abbiamo pubblicato i risultati del nostro ultimo riesame della strategia, che ha fatto soprattutto il punto sul lungo periodo di bassa inflazione. Prevediamo di concludere la valutazione del 2025 della nostra strategia nella seconda metà del prossimo anno.

Gli elementi importanti del riesame precedente rimangono validi. In particolare, manterremo l’obiettivo di inflazione simmetrico, orientato al medio termine, del 2%. Ma vi sono due ambiti fondamentali in cui dobbiamo sviluppare il nostro assetto per renderlo più solido in tempi di profonde trasformazioni.

In primo luogo, dobbiamo ridurre il più possibile l’incertezza generata da questi mutamenti strutturali, approfondendo le nostre conoscenze e analisi sulle trasformazioni in atto e su come queste possano incidere sugli shock da affrontare e sulla trasmissione della politica monetaria.

In secondo luogo, poiché l’incertezza rimarrà comunque elevata, dobbiamo gestirla meglio.

In particolare, dovremmo riflettere su come il nostro assetto di politica monetaria integri l’analisi dei rischi. Pur fornendo un utile apparato di verifiche incrociate, il riesame della strategia offre l’opportunità di considerare come bilanciare le informazioni provenienti dalle previsioni in uno scenario di base con informazioni in tempo reale, come utilizzare al meglio gli scenari alternativi e l’importanza dell’orientamento a medio termine in presenza di diversi tipi di shock.

I due filoni principali del nostro riesame del 2025 si porranno tali obiettivi.

In primo luogo, esamineremo come l’economia sia mutata in un mondo post-pandemico, con l’obiettivo di distinguere meglio possibile le determinanti cicliche da quelle strutturali. Nell’ambito di questa valutazione, considereremo come migliorare il nostro impianto analitico, integrando fra l’altro nuove tecniche e fonti di dati nelle nostre previsioni.

Sarà importante potenziare l’utilizzo dell’IA. L’apprendimento automatico ci aiuterà, ad esempio, a individuare le non linearità nelle previsioni macroeconomiche, a utilizzare ampi insiemi di dati per la previsione degli eventi e a ottimizzare la previsione dell’inflazione a brevissimo termine. Questi progressi possono essere particolarmente importanti in relazione alle previsioni a breve termine, che non sono il punto di forza dei modelli macroeconomici tradizionali.

In secondo luogo, considereremo come apprendere dall’esperienza maturata con l’inflazione troppo bassa e troppo alta, compresa la nostra funzione di reazione. Esamineremo come rendere operativo il nostro orientamento a medio termine a fronte di rischi sia al rialzo che al ribasso per le aspettative di inflazione.

Conclusioni

La storia ci insegna che i mutamenti strutturali sono importanti per la politica monetaria, anche se i loro effetti richiedono tempo per manifestarsi. Incidono sul modo in cui la politica monetaria si trasmette all’economia e talvolta, in passato, hanno influenzato gli obiettivi fondamentali perseguiti dalla politica monetaria.

Oggi gli obiettivi della politica monetaria non cambiano, perché l’attenzione alla stabilità dei prezzi si è dimostrata cruciale in tempi di profonde trasformazioni. Ma ciò non implica che il modo in cui conduciamo la politica monetaria rimarrà immutato.

Nel 1933 il governatore della Bank of England, Montague Norman, disse al suo consigliere economico appena nominato: “Lei non è qui per dirci cosa fare, ma per spiegarci perché lo abbiamo fatto”[36].

Vorrei concludere con una promessa: non adotteremo questo approccio. Ricorreremo alle nostre migliori analisi, esperienze e conoscenze per far sì che quando il cambiamento arriverà non saremo impreparati.

  1. Friedman, M. (1961), “The Lag in Effect of Monetary Policy”, Journal of Political Economy, vol. 69, n. 5, pagg. 447-466.

  2. Lane, P.R. (2022), “The Transmission of Monetary Policy”, intervento alla conferenza SUERF, CGEG|COLUMBIA|SIPA, EIB, SOCIÉTÉ GÉNÉRALE su “EU and US Perspectives: New Directions for Economic Policy”, BCE, New York, 11 ottobre.

  3. Greenspan, A. (2004), “Risk and Uncertainty in Monetary Policy”, intervento tenuto all’assemblea dell’American Economic Association, San Diego, California, 3 gennaio.

  4. Keynes, J.M. (1919), The Economic Consequences of the Peace, Macmillan, Londra.

  5. Estevadeordal, A. et al. (2002), “The Rise and Fall of World Trade, 1870−1939”, NBER Working Paper Series, National Bureau of Economic Research, febbraio.

  6. La quota di esportazioni mondiali rappresentata dall’Europa occidentale diminuì dal 60,1% nel 1913 al 41,1% nel 1950. Cfr. Feinstein, C.H. et al. (2008), “The Interwar Economy in a Secular Perspective”, The World Economy between the World Wars, Oxford University Press, marzo.

  7. All’inizio degli anni ’30 i dazi sui prodotti alimentari erano saliti in media al 53% in Francia, al 59,9% in Austria, al 66% in Italia, al 75% in Iugoslavia, a oltre l’80% in Cecoslovacchia, Germania e Spagna e a oltre il 100% in Bulgaria, Finlandia e Polonia. Cfr. Findlay, R. e O’Rourke, K.H. (2007), Power and Plenty: Trade, War, and the World Economy in the Second Millennium, Princeton University Press, pag. 448.

  8. Cfr. Crucini, M.J. e Kahn, J. (2003), “Tariffs and the Great Depression Revisited”, Federal Reserve Bank of New York Staff Reports, n. 172, settembre. Inoltre, lo Smoot-Hawley Tariff Act del 1930 determinò un aumento notevole dei dazi sui beni importati negli Stati Uniti. Cfr. Irwin, D.A. (1996), “The Smoot-Hawley Tariff: A Quantitative Assessment”, NBER Working Paper Series, n. 5509, National Bureau of Economic Research, marzo.

  9. Nurkse, R. (1944), “International Currency Experience: Lessons of the Interwar period”, Società delle Nazioni, Ginevra.

  10. L’invenzione di prodotti chimici durante questo periodo – il metodo di Percy Bridgman per la produzione di cristalli e la purificazione di sostanze cristalline (brevetto n. 1.793.672 depositato il 16 febbraio 1926) – aprì la strada a uno “spartiacque” nella rivoluzione informatica quasi mezzo secolo più tardi, ossia il microprocessore in silicio di Intel. Cfr. Nicholas, T. (2007), “Stock Market Swings and the Value of Innovation, 1908-1929”, Harvard Business School Working Paper.

  11. Tali cambiamenti, a loro volta, hanno consentito alle imprese di abbassare drasticamente i prezzi, accrescendo così ulteriormente il mercato dei loro prodotti. In Gran Bretagna, ad esempio, nel 1922, per produrre un’autovettura presso la Austin Motor Company erano necessarie cinquantacinque settimane di lavoro, ma solo dieci nel 1927. In seguito a miglioramenti della produttività di tale entità, fu possibile ridurre il prezzo di un’autovettura media da 550 sterline nel 1922 a meno di 300 nel 1929. Cfr. Feinstein, C.H. et al. (2008), “Output, Productivity, and Technical Progress in the1920s”, in “The World Economy between the World Wars”, Oxford University Press, marzo.

  12. PIL per ora di input di lavoro.

  13. Feinstein, C.H. et al. (2008), “Output, Productivity, and Technical Progress in the 1920s”, in “The World Economy between the World Wars”, Oxford University Press, marzo.

  14. Nicholas, T. (2007), “Stock Market Swings and the Value of Innovation, 1908-1929”, Harvard Business School Working Paper.

  15. Findley, R. e O’Rourke, K.H. (2007) Power and Plenty, Princeton University Press.

  16. Bernanke, B. (2000), Essays on the Great Depression, Princeton, Princeton University Press. Cfr. anche Friedman, M. e Schwartz, A. J. (1963), A Monetary History of the United States, 1867-1960, Princeton University Press.

  17. Bordo, M.D. (2007), “A Brief History of Central Banks”, Economic Commentary, Federal Reserve Bank of Cleveland, 1o dicembre.

  18. Lagarde, C. (2024), “La politica monetaria in un ciclo insolito: i rischi, il percorso e i costi”, intervento alla cerimonia di apertura dell’ECB Forum on Central Banking, Sintra, 1o luglio.

  19. Cigna, S. et al. (2022), “Global value chains: measurement, trends and drivers”, Occasional Paper Series, n. 289, BCE, Francoforte sul Meno, gennaio.

  20. Lagarde, C. (2023), “Le politiche in tempi di cambiamenti e discontinuità”, intervento all’Economic Policy Symposium “Structural Shifts in the Global Economy”, organizzato con cadenza annuale dalla Federal Reserve Bank of Kansas City, Jackson Hole,25 agosto.

  21. Lagarde, C. (2023), “Central banks in a fragmenting world”, intervento in occasione del Council on Foreign Relations’ C. Peter McColough Series on International Economics, New York, 17 aprile.

  22. Ilkova, I. et al. (2024), “Geopolitica e interscambio nell’area dell’euro e negli Stati Uniti: meno rischi nelle importazioni?”, Bollettino economico, numero 5, BCE, maggio (disponibile in italiano nel sito Internet della Banca d’Italia).

  23. Wellener, P. et al. (2024), “Restructuring the supply base: Prioritizing a resilient, yet efficient supply chain”, Deloitte Insights, maggio.

  24. Bontadini, F., Meliciani, V., Savona, M. e Wirkierman, A. (2022), “Nearshoring and Farsharing in Europe within the Global Economy”, EconPol Forum, vol. 23, n. 5, settembre.

  25. Auer, R., Borio, C. e Filardo, A. (2017), “The globalisation of inflation: the growing importance of global value chains”, BIS Working Papers, n. 602, gennaio.

  26. Sospinta dall’aumento della spesa in conto capitale nel settore informatico. Cfr. US Congress Joint Economic Committee (2024), “Fact Sheet:The Manufacturing Renaissance That Will Drive the Economy of the Future”, aprile.

  27. Duprez, C. e Magerman, G. (2023), “Price updating in production networks”, Working Paper Series, BCE, Francoforte sul Meno, ottobre.

  28. Anan, L. et al. (2023), “Fintechs: A new paradigm of growth”, McKinsey & Company, settembre.

  29. Cornelli, G., Frost, J., Gambacorta, L. e Jagtiani, J. (2022), “The impact of fintech lending on credit access for U.S. small businesses”, BIS Working Papers, n. 1041, settembre.

  30. Fuster, A., Plosser, M., Schnabl, P., e Vickery, J. (2018), “The Role of Technology in Mortgage Lending”, NBER Working Paper Series, n. 24500, aprile.

  31. Cornelli, G., Frost, J., Gambacorta, L., e Jagtiani, J. (2022), op. cit. e Buchak, G., Matvos, G., Piskorski, T. e Seru, A. (2021), “Beyond the Balance Sheet Model of Banking: Implications for Bank Regulation and Monetary Policy”, NBER Working Paper Series, n. 28380, gennaio.

  32. Gruppo di lavoro istituito dal Comitato sul sistema finanziario globale e dal Financial Stability Board (2017), “FinTech credit: Market structure, business models and financial stability implications”, Banca dei regolamenti internazionali e Financial Stability Board, maggio.

  33. Brandao-Marques, L., Gelos, G. e Harjes, T. (2021), “Taming Market Power Could (also) Help Monetary Policy”, IMF Blog, 21 luglio.

  34. Autor, D., Dorn, D., Katz, L.F., Patterson, C. e Van Reenen, J. (2020), “The Fall of the Labor Share and the Rise of Superstar Firms”, Quarterly Journal of Economics, 135(2), 645-709.

  35. Cardoso, M. e Pereira, I. (2023), “Labor Share and Monetary Transmission”, Banco de Portugal Working Papers, n. 2023-06, ottobre.

  36. Ahamed, L. (2009), Lords of Finance: The Bankers who Broke the World, Penguin Books.

CONTATTI

Banca centrale europea

Direzione Generale Comunicazione

La riproduzione è consentita purché venga citata la fonte.

Contatti per i media